“Una fede che si rinchiude in se stessa e non sente il bisogno, la necessità di essere condivisa non è una vera fede, ma piuttosto una consolazione psicologica con cui si cerca rassicurazione, tutto il contrario che aprirsi all’obbedienza alla parola di Dio. Non può esserci vera conversione nella fede che non sia al tempo stesso impegno al suo annuncio ai fratelli: la missione è la prova della autenticità della nostra fede”.
Il Card. Giuseppe Betori, dopo aver ricordato ai giovani la responsabilità di dare continuità alla fede ricevuta, ricorda loro che la frontiera della missione oggi è “collocata accanto a noi, a volte persino nel nostro ambiente sociale e familiare, addirittura nel nostro stesso cuore: è la frontiera della nuova evangelizzazione, in cui c’è da risvegliare una fede assopita, richiamare un Vangelo dimenticato, rendere nuovamente presente la persona di Gesù a suo tempo allontanata”.
Ne deriva per il credente l’impegno a “mettersi accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, che, in modo consapevole o meno, sentono il bisogno di trovare un’acqua capace di appagare la loro sete di verità su se stessi, sul significato della vita e della storia. Un andare alle periferie dell’esistenza dell’uomo, secondo l’immagine cara a papa Francesco”.
Le condizioni per fare tutto questo – approfondisce il Cardinale di Firenze – stanno nel “saldo radicamento nella verità della rivelazione, così come è attestata dalla Chiesa” e nella “magnificenza del cuore”: “verità e amore non si oppongono tra loro, proprio perché al centro della verità che la fede mi comunica sta l’amore nel suo mistero più sorgivo, quello del Dio trinitario”.
Donare la verità della fede – conclude il Card. Betori – è “il vertice dell’atto di carità”.